IPBES: perdita di biodiversità senza precedenti. Non è più tempo di mezze misure e di blandi appelli al cambio di rotta. Non li utilizza l'IPBES, la Piattaforma Intergovernativa Scienza-Politica sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici, nel report la cui sintesi è stata approvata nella settima sessione della Plenaria dell'organizzazione, riunita la scorsa settimana (29 aprile - 4 maggio) a Parigi. Se si ragiona di perdita di biodiversità per parole chiave, quelle dell'IPBES non lasciano spazio ai dubbi: pericoloso declino della natura 'senza precedenti'; tassi di estinzione delle specie 'in accelerazione' (1.000.000 le specie a rischio); risposta globale 'insufficiente'. "Le evidenze schiaccianti della valutazione globale, riconducibili a un'ampia gamma di diversi campi della conoscenza, presentano un quadro inquietante", ha dichiarato il presidente dell'IPBES, Robert Watson, "la salute degli ecosistemi, da cui noi e tutte le altre specie dipendiamo, si sta deteriorando più rapidamente che mai. Stiamo erodendo le fondamenta stesse delle nostre economie, dei mezzi di sussistenza, della sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita in tutto il mondo".
Il rapporto IPBES. Elaborato negli ultimi tre anni da 145 esperti, provenienti da 50 paesi, con contributi di altri 310 autori, il Rapporto valuta i cambiamenti degli ultimi cinque decenni, fornendo un quadro completo della relazione tra i percorsi di sviluppo economico e il loro impatto sulla natura. Offre inoltre una serie di possibili scenari per gli anni a venire. Il dossier IPBES rileva che oltre 1 milione di specie animali e vegetali è oggi a rischio di estinzione - alcune nel giro di pochi decenni – come mai era accaduto nella storia dell'umanità. La presenza media di specie autoctone nella maggior parte dei principali habitat terrestri è diminuita di almeno il 20%, soprattutto a partire dal 1900. Più del 40% delle specie di anfibi, quasi il 33% dei coralli di barriera e più di un terzo di tutti i mammiferi marini sono minacciati. Il quadro è meno chiaro per le specie di insetti, ma le prove disponibili supportano una stima provvisoria del 10% di specie a rischio. Almeno 680 specie di vertebrati sono scomparsi dal XVI secolo ad oggi e più del 9% di tutte le razze di mammiferi domestici utilizzati per l'alimentazione e l'agricoltura si è estinto entro il 2016. "Gli ecosistemi, le specie, le popolazioni selvatiche, le varietà autoctone e le specie di piante e animali domestici si stanno riducendo: vanno deteriorandosi o scomparendo. La rete essenziale e interconnessa della vita sulla Terra sta diventando sempre più piccola e sempre più sfilacciata", è stato detto al summit di Parigi, "questa perdita è il risultato diretto dell'attività umana e costituisce una minaccia diretta al benessere umano in tutte le regioni del mondo".
La fase propositiva. Ma, a chi taccia scienziati e ambientalisti di visioni apocalittico, l'IPBES risponde con una serie di indicazioni propositive, che passano però necessariamente attraverso il cosiddetto “cambiamento trasformativo”, inteso come fondamentale riorganizzazione del sistema attraverso fattori tecnologici, economici e sociali, inclusi i paradigmi, gli obiettivi e i valori. Facile non è. "Gli Stati membri dell'IPBES Plenaria hanno riconosciuto che, per sua stessa natura, il cambiamento trasformativo può subire un'opposizione da parte di coloro che hanno interessi acquisiti nello status quo, ma anche che tale opposizione può essere superata per il bene pubblico più ampio", ha detto Watson.
Cinque, secondo il report, i fattori su cui lavorare: (1) cambiamenti nell'uso del suolo e del mare; (2) sfruttamento diretto degli organismi; (3) clima. (4) inquinamento e (5) specie esotiche invasive.
Il Rapporto rileva che, dal 1980, le emissioni di gas serra sono raddoppiate, aumentando le temperature medie globali di almeno 0,7 gradi Celsius, con il cambiamento climatico che già impatta la natura dal livello degli ecosistemi a quello della genetica: una situazione che, senza un'inversione di tendenza, è destinata a peggiorare. L'IPBES rileva anche che gli obiettivi globali per la conservazione e l'uso sostenibile della natura e il raggiungimento della sostenibilità non possono essere raggiunti alle condizioni attuali. Con i buoni progressi di soli quattro dei 20 obiettivi di Aichi Biodiversità, è probabile che la maggior parte di essi non sarà raggiunta entro la scadenza del 2020. Le attuali tendenze negative della biodiversità e degli ecosistemi pregiudicheranno i progressi nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, relativi a povertà, fame, salute, acqua, città, clima, oceani e terra. La perdita di biodiversità si rivela quindi non solo una questione ambientale, ma anche una questione di sviluppo, economica, di sicurezza, sociale e morale.
I numeri di IPBES su cui riflettere.
- Tre quarti dell'ambiente terrestre e circa il 66% dell'ambiente marino sono stati significativamente alterati dalle azioni umane. In media, queste tendenze sono state meno gravi o evitate in aree detenute o gestite da popolazioni indigene e comunità locali.
- Più di un terzo della superficie terrestre mondiale e quasi il 75% delle risorse di acqua dolce sono ora destinate alla produzione agricola o zootecnica.
-Il valore della produzione agricola è aumentato di circa il 300% dal 1970, la raccolta di legname grezzo è aumentata del 45% e circa 60 miliardi di tonnellate di risorse rinnovabili e non rinnovabili sono utilizzate ogni anno a livello mondiale.
-Il degrado della terra ha ridotto la produttività del 23% della superficie terrestre globale: circa 577 miliardi di dollari in colture annuali globali sono a rischio di perdita di impollinatori e 100-300 milioni di persone sono a maggior rischio di inondazioni e uragani a causa della perdita di habitat costieri e di protezione.
-Nel 2015, il 33% degli stock ittici marini è stato pescato a livelli insostenibili; il 60% è stato pescato in modo sostenibile, con appena il 7% di catture a livelli inferiori a quelli che possono essere pescati in modo sostenibile.
-Le aree urbane sono più che raddoppiate dal 1992.
-L'inquinamento da plastica è decuplicato dal 1980; 300-400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e altri rifiuti provenienti da impianti industriali vengono scaricati ogni anno nelle acque del mondo; i fertilizzanti che entrano negli ecosistemi costieri hanno prodotto più di 400 "zone morte" oceaniche, per un totale di oltre 245.000 km2 (591-595) - un'area complessiva superiore a quella del Regno Unito.
-Le tendenze negative in natura continueranno fino al 2050 e oltre in tutti gli scenari politici esaminati nel Rapporto, ad eccezione di quelli che includono il cambiamento trasformativo - a causa degli impatti previsti del crescente cambiamento di destinazione d'uso del territorio, dello sfruttamento degli organismi e del cambiamento climatico, anche se con differenze significative tra le regioni.
https://www.ipbes.net/news/Media-Release-Global-Assessment
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