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Report IPCC 2021: un codice rosso per l'umanità

I cambiamenti climatici sono inequivocabilmente da attribuire all’uomo. La terra procede senza rallentamenti verso la catastrofe ambientale. Sono necessarie misure senza precedenti per limitare gli effetti distruttivi di un processo ormai irreversibile. Il messaggio dell’ultimo report dell’IPCC si riassume in questa sequenza tragica e perentoria. Non una novità, certo, ma lo studio della massima autorità mondiale in fatto di cambiamenti climatici sembra porre parola definitiva su cause, scenari e impellenti necessità d’intervento.

Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico
, foro scientifico nato nel 1988 da due organizzazioni dell’ONU, ha approfondito e consolidato natura e futuro di un fenomeno che non presenta apprezzabili variazioni rispetto ai primi studi, risalenti al 1990. Centinaia di esperti hanno lavorato per sei anni al miglioramento dell’ultimo documento del 2013. Migliaia le verifiche esaminate nel lungo processo di elaborazione. Una prassi scientifica quasi ossessiva, resa inevitabile dallo scetticismo di un’epoca post-fattuale e dall’insipienza dei grandi decisori. A mutare, quindi, è stato solo il numero e l’interesse di chi ha deciso di porre la crisi ambientale al centro dell’interesse civile e politico. Cresce la moltitudine che si batte per invertire la rotta, mentre i capitani al comando si sono dimostrati finora sordi a ogni grido d’allarme.

Dal 1850 la temperatura media globale è aumentata di circa 1C°. Ognuno degli ultimi quattro decenni è stato più caldo del precedente. Nei prossimi vent’anni è lecito aspettarsi il superamento del 1.5C° rispetto alle temperature pre-industriali, limite massimo indicato dall’Accordo di Parigi del 2015. Dal 1750 a oggi l’unica responsabile è l’attività dell’uomo, un paradigma culturale ed economico parassitario, fondato sullo sfruttamento delle risorse ambientali, sul consumo di beni superflui. Dal 1901 il livello del mare si è innalzato di circa 0,2 m, le zone climatiche si sono spostate verso i poli in entrambi gli emisferi, sempre più colpiti da eventi metereologici estremi e stravolti negli equilibri ecosistemici.
“Il report dell’IPCC è un codice rosso per l’umanità. Il campanello d’allarme è assordante, e l’evidenza irrefutabile: le emissioni di gas serra derivate dal consumo di combustibile fossile e dalla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo la vita di miliardi di persone a rischio”, ha affermato Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. In previsione della Cop 26 di Glasgow, prevista in novembre, molte voci autorevoli si sono unite a quella di Guterres, dal presidente americano Biden al premier italiano Draghi, entrambi consapevoli della necessità di rilanciare l’accordo di Parigi, ignorato negli ultimi anni proprio dai campioni della produzione e dell’inquinamento globale, Stati Uniti e Cina.

Il report dell’IPCC offre scenari progressivi, che arrivano a immaginare per il 2100 la Terra funestata da un aumento delle temperature medie di quattro gradi centigradi. Ma anche se il consesso mondiale riuscisse a limitare il riscaldamento a 1,5 C°, alcune dinamiche sono da considerarsi già oggi inevitabili e irreversibili: fra tutti l’innalzamento del livello del mare, e la conseguente inondazione di molte aree costiere, popolate da milioni di persone. Anche una drastica riduzione delle emissioni non sarà capace di impedire l’acidificazione degli oceani, la desertificazione di interi quadranti con conseguenze devastanti sulle economie dei popoli. Milioni saranno costretti a migrare in cerca di condizioni di vita migliori, o della stessa sopravvivenza. A Glasgow i potenti della Terra sono chiamati a correggere il passato, a disegnare un futuro sostenibile. O semplicemente un futuro.

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