Luca Foschi
Nel gennaio del 2014 l’immenso schermo di piazza Tiananmen a Pechino, solitamente utilizzato per diffondere la propaganda di regime a turisti e cittadini, esibiva tramonti infuocati e tersi cieli azzurri puntellati dalle creste dei monti. Il lungo nastro luminoso s’incastonava, incongruo e inquietante, nella densa atmosfera avvelenata, una coltre cinerea capace di divorare le figure di uomini e cose. In quei giorni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ammoniva il governo cinese con i dati sull’inquinamento, numeri venti volte superiori alla soglia raccomandata. Grandi lettere bianche su sfondo rosso consigliavano al popolo l’utilizzo di mascherine protettive, gli ricordavano che “la protezione dell’atmosfera è responsabilità di ciascuno”. La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza, la morte è vita.
Il ritardo nel processo di condivisione, interno e internazionale, è uno solo uno fra i momenti fondamentali nella circolarità che ha generato il virus Covid-19, e gli ha permesso di distendersi con la sua mano letale e invisibile su oltre 150 paesi del presente globalizzato. La storia ha provocato la natura e ne ha disseminato la risposta feroce. Il futuro prossimo, a tragedia conclusa, ci garantirà numerosi studi scientifici sulla nascita, l’identità e il comportamento del SARS-CoV-2 (Sindrome Respiratoria Acuta Grave - Coronavirus 2). Conosciamo già l’essenziale. Il Covid-19 è un esempio perfetto di “spillover” (tracimazione), termine utilizzato dal giornalista americano David Quammen per descrivere il “salto interspecifico”.
Svariate ricerche hanno dimostrato che il SARS-CoV-2 ha una forte somiglianza con altri coronavirus che proliferano in alcune specie di pipistrelli appartenenti al genere Rhinolophus, presenti in molte aree dell’Europa, Del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia. Il genoma del Covid-19, sequenziato in Cina già ai primi di gennaio, trova forti corrispondenze in quello di un coronavirus rintracciato nella provincia di Yunnan. Le differenze risiederebbero soprattutto nei tratti del DNA che codificano i recettori utilizzati dal virus per penetrare le cellule. La variazione suggerisce un ospite intermedio, individuato dai ricercatori della South China Agricultural University nei pangolini, piccoli mammiferi insettivori minacciati d’estinzione da antiche, ingiustificate credenze sul potere taumaturgico delle loro scaglie. Gli studi della virologa Shi Zenghli hanno individuato nei pipistrelli che popolano le caverne di Shitou, periferia di Kunming, capitale dello Yunnan, decine di coronavirus potenzialmente capaci di compiere il salto di specie e infettare l’uomo. In molti mercati cinesi i pipistrelli vengono venduti vivi o macellati.
In “Spillover” (2012) Quammen analizza la relazione fra la distruzione degli ecosistemi e le epidemie. Le foreste, in particolare, ospitano l’80% della biodiversità terrestre, milioni di specie (inclusi batteri e virus), ancora largamente sconosciuti alla scienza. I villaggi sorti dove prima si sollevavano le foreste, le nuove strade che le attraversano, la caccia e il commercio di animali selvaggi, rompono l’equilibrio ecosistemico, esponendo l’uomo al contatto con agenti patogeni sconosciuti. Così è nato l’ebola, così è nato l’HIV. Ad oggi, metà della superficie forestale che ricopriva il pianeta è stata spazzata via. Il grande polmone della Terra è in affanno, rischia il collasso, esattamente come quello degli uomini.
Nei giorni in cui l’homo sapiens riscopre la propria estrema fragilità, e il paradigma di un modello economico fondato sullo sfruttamento e il movimento illimitati si trova a contemplare l’ennesimo baratro, le immagini satellitari mostrano il dissiparsi delle cupole di anidride carbonica che soffocano le regioni industrializzate del pianeta. Fra queste la pianura padana, l’area più inquinata del continente europeo. Già nel 2003 uno studio condotto sulla prima SARS da coronavirus in Cina dimostrava un incremento della mortalità dell’84% nelle aree caratterizzate da un basso indice di qualità dell’aria.
Nelle metropoli diventate improvvisamente deserti di asfalto e cemento compaiono, timidi o sfrontati, i cerbiatti e le scimmie, i pesci e i cinghiali. La distopia, tanto investigata e banalizzata dalla cultura di massa, conquista le strade in una silenziosa, lancinante rappresentazione del cupio dissolvi che l’ha generata.
È assai probabile che il motore dell’economia globale, tenuto al minimo da una quarantena che coinvolge quasi due miliardi di persone, riprenda poderoso e incurante non appena l’emergenza sarà conclusa. La negazione che ha ritardato in molti Stati l’implementazione dei protocolli sanitari, nutrita di arroganza antropocentrica, diventerà insindacabile necessità, seppellendo per l’ennesima volta nell’inconscio collettivo l’istanza di un rivolgimento culturale che attraversi ogni aspetto del vivere. Quella scatenata dal Covid-19 è molto più di una guerra: la sua fine non deve soltanto condurre a una drastica riformulazione delle relazioni fra individui, stati, blocchi geopolitici. L’uomo, untore di suolo, cielo e acqua, è chiamato a riconsiderare il proprio ruolo nel delicato equilibrio del pianeta, a mutare, da distruttore e parassita, in attenta, coraggiosa sentinella dell’armonia. A nulla servono le armi nella battaglia contro il proprio essere. Ogni risorsa economica e intellettuale estratta dalle rinnovate assemblee degli uomini deve essere investita nella scienza, nell’ambiente, nell’educazione, nella ricostruzione dell’armonia perduta. È venuto il tempo di una nuova modernità. La cura sostituisca la predazione.
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