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Quanto vale la natura?

Parlare del valore economico dell’ambiente non può prescindere dal chiarire meglio come la disciplina dell’economia dell’ambiente lo riconosce e misura. Ancor prima, dobbiamo chiarire cosa si intende per Economia dell’ambiente. 
Tra le diverse discipline economiche – l’economia funziona come la medicina con differenti branche, spesso indipendenti, l’una dall’altra -, l’economia dell’ambiente è sicuramente una delle branche meno conosciute, nonostante i primi studi ad essa riferibili risalgono a più di mezzo secolo fa. 

L’economia dell’ambiente è quella disciplina che analizza in che modo l’ambiente influenza l’andamento economico e, viceversa, in che modo le attività produttive incidono sull’ambiente. Per un economista, l’inquinamento è un’esternalità negativa, cioè è un “sottoprodotto” non previsto dell’attività economica. Si definisce “esternalità” in quanto la sua produzione non è l’obiettivo di produzione, ma è un effetto collaterale che, a fronte di un beneficio economico di chi produce il bene a cui è associato l’inquinamento, si hanno dei costi sociali, quelli derivanti dall’inquinamento. Uno dei primi obiettivi dell’economista ambientale è quello di “internalizzare” gli effetti esterni, cioè fare in modo che “chi inquina paga”. 
Le esternalità sono anche positive: a parità di tutte le altre condizioni, il valore di un immobile sarà più elevato se accanto vi è un parco verde, invece di una discarica. 
Quest’ultimo esempio ci spiega chiaramente perché “economia dell’ambiente” non è affatto un ossimoro: spesso i detrattori di questa disciplina ritengono economia ed ambiente inconciliabili, ma non è affatto così.  

Moltissime attività economiche non potrebbero svolgersi in contesti ambientalmente compromessi: nessuno andrebbe mai in vacanza in una località dove le spiagge sono coperte di rifiuti, così come nessuno acquisterebbe i prodotti agricoli prodotti in aree altamente inquinate (cosa che tra l’altro le attuali normative rendono impossibile). 
Una delle attività dell’economia dell’ambiente è proprio quella di dimostrare quanto è importante, anche in termini monetari, il rispetto degli ecosistemi naturali.
 
QUALI SONO I BENEFICI MONETIZZABILI DELLA NATURA? 



Oggi è ampiamente impiegato il concetto di capitale naturale, cioè il patrimonio che ad una nazione deriva dalla totalità dei servizi ecosistemici, cioè tutti i benefici – anche monetizzabili – che gli ecosistemi in buona salute forniscono agli uomini: cibo, tessuti, medicinali, materie prime energetiche, la fotosintesi clorofilliana, la depurazione delle acque, il senso di benessere e gli effetti positivi sulla salute, l’ispirazione che ne traggono i grandi artisti (pensate solo a “I girasoli” di Van Gogh) sono tutti esempi di benefici che la natura fornisce all’uomo e che sono monetizzabili. Questo concetto, in realtà, non è nuovo: eravamo ancora nel secolo scorso (1997), quando un gruppo di ricercatori coordinati da
Robert Costanza pubblicò l’articolo sul valore monetario dei servizi ecosistemici e del capitale naturale del mondo che costituisce tutt’oggi la pietra miliare di questo genere di studi.  

Mentre oggi questo genere di studi cominciano a diventare uno strumento utilizzato, soprattutto nei processi decisionali: un’Analisi di Valutazione Ambientale fatta bene dovrebbe contenere un’Analisi Costi – Benefici che, se condotta come insegnato nei corsi di dottorato in Economia, deve contenere anche una valutazione monetaria dei benefici offerti dagli ecosistemi naturali e questo valore va contrapposto ai costi e benefici finanziari ed economici diretti ed indiretti delle diverse alternative progettuali. Senza questo tipo di valutazioni, solo una parte dei servizi ecosistemici viene tenuta in considerazione. 
Per lungo tempo, alla natura si è associato un valore economico nullo, ritenendo che non fosse possibile o etico dare un valore monetario a piante e animali (che hanno un valore inestimabile): tuttavia, già nel 1968, Garrett J. Harding nel suo celeberrimo articolo “La tragedia dei beni comuni” dimostrava che, in assenza di chiari diritti di proprietà, ogni individuo avrebbe utilizzato un bene comune, come un pascolo, con la finalità di massimizzare il proprio profitto, portando al depauperamento della risorsa. È quello che sta accadendo con molti stock ittici nel mare: non ci sono diritti di proprietà sui pesci e non si paga per il prelievo in mare e questo determina un prelievo non sostenibile che sta portando all’esaurimento di alcuni stock e alla scomparsa di alcune specie. Tuttavia, assegnare diritti di proprietà certi – cioè privatizzare, nella visione di Harding - non è la sola soluzione: Elinor Ostrom – unica donna a ricevere il Premio Nobel per l’Economia nel 2009 – dimostra nelle sue ricerche come le comunità locali possono regolamentare l’accesso ai beni comuni (e così preservarli) senza la necessità di ricorrere alla privatizzazione o ad un’autorità centrale. 


META’ DEL PIL GLOBALE DIPENDE DALLA NATURA 



Ma quanto vale la natura oggi? Nella Strategia UE sulla biodiversità per il 2030 è indicato che più della metà del prodotto interno lordo globale - circa 40 trilioni di euro - dipende dalla natura. Tuttavia, questo valore sottostima sia il valore intrinseco della natura, che valori come quello culturale che non sono immediatamente monetizzabili. Così come spesso non si tiene conto adeguatamente dei benefici indiretti derivanti da una natura in buono stato, come gli effetti positivi sulla salute degli individui che si riflette in una riduzione delle spese sanitarie pubbliche. 
Eurostat ha identificato i servizi ecosistemici che vengono forniti da sette ecosistemi comuni in Europa, come le foreste, le zone umide e le aree urbane, e stimato che il valore dei servizi che hanno fornito, che includono la ricreazione, la produzione agricola e la purificazione dell'acqua, è arrivato a 172 miliardi di euro nel 2012. 

Alla recente COP15 della Convenzione ONU sulla Diversità Biologica, si è stimato che siano necessari circa 700 miliardi di dollari ogni anno (a livello mondiale) per proteggere e ripristinare adeguatamente gli ecosistemi, cifra che equivale ai 500 miliardi di dollari di sussidi dannosi per l’ambiente che ogni anno vengono erogati e altri 200 miliardi di dollari di denaro extra per la conservazione. 
Oggi, studi sul valore economico sono disponibili per molti servizi ecosistemici e per molte aree del pianeta. In Italia, il Ministero della Transizione Ecologica effettua ogni anno una mappatura dei servizi ecosistemici: nel Terzo Rapporto, pubblicato nel 2019, vengono riportati i risultati di due studi condotti da JRC e da ISPRA su alcuni servizi ecosistemici con un range di risultati che va da circa 24 miliardi a poco più di 58 miliari di euro di valore. 
In Sardegna, numerosi studi sono stati condotti su singoli ecosistemi o servizi ecosistemici da ricercatori delle due università e dai funzionari di diversi enti regionali, anche nell’ambito di diversi progetti finanziati dall’Unione Europea. 


LE MISURAZIONI IN SARDEGNA SUI SERVIZI ECOSISTEMICI NELL’ORISTANESE 



Nell’ambito della collaborazione intrapresa con BirdLife International all’interno del Progetto Maristanis, il team di MEDSEA sta applicando la metodologia TESSA per l’identificazione e la valutazione monetaria di alcuni dei servizi ecosistemici forniti dalle terre d’acqua dell’Oristanese. La fase attuale di ricerca si concentra sulle zone umide Ramsar di S’Ena Arrubia e di Corru S’Ittiri-Corru Mannu (ricompreso nell’area Ramsar di Corru S’Ittiri – Marceddì – San Giovanni) e sui servizi ecosistemici legati alla protezione dal cambiamento climatico. 
Nella fase precedente del lavoro, ci si è concentrati sui servizi ecosistemici forniti dallo stagno di S’Ena Arrubia e in particolare sui servizi ecosistemici di approvvigionamento di cibo, quelli legati al turismo e agli usi ricreativi e quelli culturali: i risultati più importanti indicano che l’aumento della qualità ambientale, una gestione più puntuale dell’area e una maggiore offerta di servizi ambientali associati alle attuali attrattive turistiche possono determinare un aumento del valore ricreativo del 25% – misurato come disponibilità di turisti e visitatori a tornare nell’area o a visitarla per la prima volta e a sostenere le spese della visita; il miglioramento della qualità ambientale, attraverso la riduzione degli elementi che inibiscono la produttività ittica, la valorizzazione economica di alcune specie aliene edibili e la valorizzazione turistica delle attività e del compendio di pesca possono incrementare il valore economico della pesca fino all’85%. 
Questo mostra che migliorare la gestione e la valorizzazione delle zone umide può determinare un incremento del valore ambientale e di conseguenza di quello economico ad esso associato. 
Studi della Commissione Europea indicano che i benefici derivanti dai siti della rete Natura 2000 sono stimati nell'ordine di 200-300 miliardi di euro all'anno, di cui tra 5 e 9 miliardi di euro all'anno dovuti alle attività turistiche e ricreative.  In Europa si stima che circa 4,4 milioni di posti di lavoro e 405 miliardi di euro di fatturato annuo siano direttamente legati alla conservazione e preservazione di un buono stato ecologico degli ecosistemi, una parte significativa dei quali è inclusa in uno delle centinaia di siti Natura 2000. 
Certamente numeri importanti su cui riflettere. 
 
Vania Statzu 
Vicepresidente MEDSEA 


Photo copyright © Egidio Trainito Sinis, Sardegna 
 

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